Con il D.P.R. 28 gennaio 2020 il Presidente della Repubblica ha indetto il referendum popolare confermativo del testo di legge costituzionale recante: «Modifiche agli articoli 56, 57 e 59 della Costituzione in materia di riduzione del numero dei parlamentari», accogliendo così la richiesta di 71 Senatori della Repubblica.
I cittadini italiani saranno, dunque, chiamati alle urne per consentire la promulgazione della legge di revisione costituzionale che disporrebbe:
riduzione del numero dei deputati da 630 a 400 con conseguente riduzione del numero di eletti nella circoscrizione estero da 12 a 8 e conseguente ripartizione del numero dei seggi fra le circoscrizioni ottenuta dividendo il numero di abitanti della Repubblica, non più per 618 bensì per 392;
riduzione del numero di senatori da 315 a 200 con conseguente riduzione del numero massimo di senatori eletti per ciascuna regione o provincia autonoma da 7 a 3;
riformulazione dell’art. 59 C. riguardante la nomina dei senatori a vita da parte del Presidente della Repubblica per un numero massimo di 5 in carica.
La data originariamente prevista per il voto avrebbe dovuto essere il 29 marzo 2020 ma la contingente emergenza sanitaria, e le conseguenti misure preventive adottate dal governo, impediscono lo svolgimento delle operazioni di voto e hanno influito sull’organizzazione della campagna elettorale. Di conseguenza, il Consiglio dei ministri ha deliberato per rimandare la consultazione a data da definirsi.
Nell’attesa che venga fissata una nuova data, utile può essere fare una ricognizione delle principali ragioni dei sostenitori del SI e del NO porgendo particolare attenzione alle opinioni del mondo accademico.
Senz’altro uno degli argomenti a favore della riforma, di maggior impatto mediatico, è la riduzione della spesa pubblica. Considerando le indennità e i rimborsi spese previsti per ciascun parlamentare, è possibile calcolare che il risparmio netto per le casse dello Stato sarebbe di circa 60 milioni di euro l’anno.
I sostenitori del NO ritengono che tale cifra possa considerarsi irrisoria a fronte della perdita di valore democratico che subirebbe la nostra Costituzione; diversamente, i sostenitori del SI, ne enfatizzano l’impatto. In particolare, Carlo Fusaro (Professore ordinario di Diritto pubblico dell’Università degli studi di Firenze) ritiene che si debba attribuire rilevanza ai risparmi quale che sia la loro entità, e sottolinea come si debbano considerare anche quelli a lungo termine consistenti nella riduzione delle pensioni e dei vitalizi.
Certo è che, a prescindere dalla valutazione che se ne voglia fare, si tratta di una cifra ben inferiore a quella propagandata di 100 milioni di euro l’anno.
Altro argomento centrale nel dibattito è quello relativo alla modifica delle funzioni delle Camere.
A parere dei sostenitori del NO una riforma che riduca il numero dei parlamentari, senza ridefinire il ruolo delle Camere e le rispettive funzioni, rischia solo di indebolire il ruolo centrale del Parlamento. Questo timore si inserisce nella più ampia aspirazione ad una riforma che consenta il superamento del bicameralismo paritario a favore di un bicameralismo differenziato, e che reputa questa misura piuttosto un passo verso il monocameralismo. Di contro, c’è chi la considera una soluzione, invocata per oltre trent’anni dal Parlamento, timida ma necessaria per aprire la strada ad un cambiamento della struttura bicamerale.
Direttamente collegato al problema delle funzioni delle Camere è la valenza del numero di parlamentari in sé considerata. A favore del SI, si sostiene che assemblee rappresentative meno pletoriche sarebbero più funzionali poiché, in presenza di un corretto adeguamento dei regolamenti delle due Camere, garantirebbero maggiore celerità e snellezza nei lavori. Nel dibattito accademico si pone, però, l’accento sul controverso rapporto tra velocità e qualità del diritto e si sottolinea come una riduzione del numero dei componenti rischierebbe di rendere precario e macchinoso il funzionamento delle Commissioni e degli altri strumenti a disposizione delle Camere generando una paralisi delle funzioni.
La maggiore preoccupazione dei sostenitori del NO risiede nel rischio di una riduzione della rappresentanza e del ruolo del Parlamento come centro del pluralismo politico. Allargando la forbice tra il singolo parlamentare e il numero di soggetti necessari per eleggerlo, si appannerebbe il criterio della riconoscibiltà del proprio candidato. I sostenitori del SI argomentano che un minor numero di parlamentari non necessariamente incide sulla qualità della rappresentanza, anzi, potrebbe essere un modo per selezionare i candidati fornendo una classe politica qualitativamente migliore. Rilevanza, in questo senso, avrebbe la capacità di selezione dei partiti, che acquisirebbero una maggiore incidenza nella determinazione delle liste. Se da una parte l’aspirazione è che questo garantisca una maggiore stabilità di governo, dall’altra il timore è che si alteri il concetto di democrazia rappresentativa.
Ciò detto, non resta che augurarsi che i cittadini facciano una scelta consapevole e pensata, tenendo a mente l’alto valore, non solo simbolico, della Costituzione. Ma soprattutto, ci si augura che questa scelta possa concretizzarsi nel breve termine poiché significherebbe che l’Italia ha superato lo stato di emergenza in cui si trova attualmente.
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