Con la legge del 1° gennaio 2020 è entrato in vigore il blocco dopo la sentenza di primo grado
La prescrizione è un argomento che da anni ha sempre infiammato il dibattito politico in Italia.
Non è da meno questo 2020 dato che sulla prescrizione si gioca la tenuta dell'attuale governo Conte II.
La prescrizione è a tutti gli effetti una causa di estinzione del reato: un illecito non può essere più punito se sono decorsi i termini dalla sua commissione.
Le interpretazioni che legittimano l'istituto della prescrizione sono molteplici: l'inutilità di giudicare una persona per un reato commesso molto tempo addietro, persona che magari nel tempo è cambiata rispetto a prima per eventi che sono magari anche “dimenticati”; la necessità di tutelare le persone dalla “pena del processo”, ossia tenerle appese per anni e anni al filo del giudizio e del sospetto. Inoltre più passa il tempo più è difficile trovare prove documentali e testimoniali con il rischio di allungare ulteriormente la durata dei processi.
La prescrizione nel 2005
Una importante innovazione è stata introdotta dalla legge del 5 dicembre 2005 n. 251, forse più nota come legge ex-Cirielli, che ha determinato una riduzione della prescrizione per reati di medio-alta gravità. In particolare la novità apportata da questa legge è contenuta nel principio secondo cui la prescrizione deve essere della stessa durata della pena edittale stabilita dalla legge. Per fare un esempio: se un reato comporta una pena di otto anni, allora la prescrizione dovrà durare anche essa otto anni in modo tale da commisurare la durata della prescrizione con la gravità del reato e della sua relativa pena.
Sempre la legge citata individua due soglie minime: la prescrizione non può essere inferiore ai quattro anni per le contravvenzioni, e non può essere inferiore ai sei anni per i delitti.
Restano imprescrittibili i delitti puniti con l'ergastolo: la loro gravità infatti è tale da lasciare un ricordo sempre vivo nella mente delle persone coinvolte e in più è lo stesso Stato che in relazione all'importanza del reato ha interesse a giungere alla conclusione del processo.
Il termine prescrizionale, inoltre, può interrompersi per interferenze tra lo scorrere del tempo e o lo svolgimento del processo.
La riforma del 2017
Con le riforme più recenti, come ad esempio con la legge 23 giugno 2017 n. 103, si è cercato di concedere un tempo sempre più esteso per giungere alla sentenza definitiva. Nel caso particolare della legge n. 103 del 2017, si è introdotta la sospensione della prescrizione per il periodo che va dal deposito degli atti della sentenza, fino a quando vine introdotto il successivo grado di giudizio, sia in appello che in cassazione, ma solo in caso di ipotesi di condanna, e comunque la sospensione della prescrizione non deve superare, in ciascuna fase, i diciotto mesi.
L'attuale disciplina
Con la legge 9 gennaio 2019 n. 3, entrata in vigore lo scorso primo gennaio 2020, la prescrizione si blocca dopo la sentenza di primo grado sia in caso di assoluzione che di condanna, quindi l'estinzione del reato non potrà maturare nel corso del giudizio d'appello o di cassazione.
Sicuramente tra le motivazioni che hanno determinato il legislatore a muoversi in maniera così radicale per quanto riguarda la prescrizione c'è il voler consentire che il processo arrivi a termine, evitando altresì che il ricorso alla prescrizione possa tradursi in tattica processuale.
D'altro canto le voci critiche in ordine a questa nuova legge evidenziano che proprio il “pericolo” della prescrizione fa si che i processi procedano più velocemente mentre esiste il timore che la modifica, entrata in vigore all'inizio di quest'anno, eliminando l'istituto, porterà a processi di una durata a tutti gli effetti indefinita, il ché potrebbe tradursi in un danno per gli indagati/imputati.
Le conseguenze politiche
In questi giorni, proprio a causa della riforma della prescrizione voluta dal Ministro della Giustizia Bonafede, si sta assistendo a una spaccatura all'interno della maggioranza: da una parte il Pd, il Movimento 5 Stelle e Leu, hanno trovato una soluzione di compromesso con il c.d. Lodo Conte bis: la prescrizione è sospesa dopo la condanna in primo grado mentre torna a decorrere retroattivamente in caso di assoluzione in appello, diventando definitiva solo in caso di doppia condanna, dall'altra Italia Viva di Renzi che, pur facendo parte dell'esecutivo nonostante la scissione dal Pd, ha votato con le forze di opposizione.
Infatti, ieri 19 Febbraio, in Commissione Giustizia alla Camera, Italia Viva ha votato a favore del DDL di Enrico Costa, parlamentare che milita nelle fila di Forza Italia, che si prefigge l'obiettivo di cancellare la legge Bonafede. Il DDL Costa non è stato approvato per un voto nonostante l'appoggio di Italia Viva, e pare che nella maggioranza si sia arrivati ai ferri corti.
Rimane solamente da capire il perché di tutto questo. L'ipotesi più accreditata è che sulla prescrizione in realtà si giochi una partita che ha come primo premio la Presidenza del Consiglio.
Già in passato i premier Conte e Renzi hanno manifestato delle perplessità reciproche e quindi sull'argomento prescrizione l'ex Presidente del Consiglio Renzi sembra voglia accreditarsi come elemento determinante per la sopravvivenza dell'attuale governo pur non escludendo affatto la possibilità di sostituire Conte alla guida dell'esecutivo. Parrebbe quindi che tutta la questione si traduca in una lotta intestina alla maggioranza volta a ridisegnare gli equilibri e che in fin dei conti, ma è difficile dirlo, la caduta del governo non interessi a nessuno.
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